Riforma agraria.
La riforma agraria è una ristrutturazione della produzione agricola. Spesso con questa definizione si intende una redistribuzione della proprietà delle terre coltivabili attraverso un'espropriazione forzata, indennizzata o no, dei grandi proprietari da parte dell'amministrazione, e di una redistribuzione gratuita ai coltivatori privi di proprietà. Nella storia ci sono state numerose riforme agrarie, spesso dovute a rivoluzioni o rivendicazioni violente da parte della classe contadina.
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Le singole esperienze [modifica]
In Italia [modifica]
Il parlamento italiano varò nel 1950 una legge (legge stralcio n. 841 del 21 ottobre) in tal senso. Il provvedimento, finanziato in parte dai fondi del Piano Marshall ma anche ostacolato da settori dell'amministrazione americana [citazione necessaria], secondo alcuni studiosi fu la più importante riforma dell'intero dopoguerra [citazione necessaria]. La riforma proponeva, tramite l'esproprio coatto, la distribuzione delle terre ai braccianti agricoli, rendendoli così piccoli imprenditori e non più sottomessi al grande latifondista. Se per certi versi la riforma ebbe questo benefico risultato, per altri polverizzò in maniera notevole la dimensione delle aziende agricole togliendo di fatto ogni possibilità di trasformarle in veicoli imprenditoriali avanzati. Questo elemento negativo venne però attenuato ed in alcuni casi eliminato, con la cooperazione. Sorsero infatti le cooperative agricole che programmando le produzioni e centralizzando la vendita dei prodotti diedero all'agricoltura quel carattere imprenditoriale che era venuto meno con la divisione delle terre. Si ebbe una migliore resa delle colture che da estensive diventarono intensive e quindi un migliore sfruttamento delle superfici utilizzate. Il lavoro agricolo che era stato fino ad allora poco remunerativo anche se molto pesante, cominciò a dare i suoi frutti gratificando così coloro i quali vi si dedicavano. In seguito allo sviluppo dell'industria, l'agricoltura finì col divenire un settore marginale dell'economia, ma a seguito dello sviluppo delle tecniche moderne di coltivazione, vide moltiplicarsi il reddito prodotto per ettaro coltivato e quindi la redditività del lavoro.
L'intento della riforma era di matrice riformista, ed è stato osservato che mirava più a migliorare la produttività agricola che a favorire una più equa ripartizione della proprietà delle terre.
Manlio Rossi Doria che pure era stato un convinto sostenitore di quell'iniziativa, contestò che la legge accentuò l'eccessivo frazionamento fondiario.
E. Sereni e R. Grieco, sostennero che la riforma riguardava un'area troppo limitata, ed imponeva un onere di riscatto troppo elevato.
C. Barberis ha definito però la riforma agraria come «forse l'atto legislativo più importante dell'intero dopoguerra».
In Basilicata===
In Basilicata, terminata la seconda guerra mondiale, ci fu una fase di lotte dei braccianti, dei mezzadri e dei contadini che occupavano molti terreni dei latifondisti.
In particolare le rivendicazioni furono molto forti nel Pollino. L'episodio più clamoroso fu l'eccidio di Melfi nel 1949.
Anche il governo centrista divenne allora favorevole ad una riforma agraria, fortemente richiesta dalla sinistra, ma diventata ormai per molti aspetti anacronistica. Lo strumento operativo fu l'O.V.P. (Opera Valorizzazione Pollino) un ente che era già stato costituito nel 1947. Nel complesso furono espropriati 75.000 ettari di terreno, distribuiti poi in 11.557 poderi, che si mostrarono ben presto troppo piccoli per giustificarsi economicamente. La zona fu poi interessata da una massiccia emigrazione, non solo verso l'Italia settentrionale, ma anche verso la Svizzera e la Germania. La riforma fondiaria in Pollino si dimostrò sotto alcuni punti di vista un fallimento.
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mercoledì 13 febbraio 2008
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