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lunedì 3 marzo 2008

Il futuro dei sardi...federalismo o autonomismo?

" Con l'inibire lingua e cultura locali sin dall'infanzia si farebbe perdere ai sardi la fiducia in sé stessi, lo spirito di iniziativa, il legame "tribale" che ne costituiva la forza in quella società del tempo antico. Un genocidio: il sardo un morto che cammina, un individuo senza anima, un robot manovrato dal Padrone d'Oltremare di turno. Ammoniva Simon Mossa: " è necessario battersi perché la nuova cultura possa essere data al popolo Sardo, senza distruggere quella arcaica che ha in sé i germi di una evoluzione rapida nel mondo moderno. "
Con questa introduzione tratta dai pensieri del Mossa, storico studioso dell'emancipazione della sardegna, inizia negli anni a venire una neo riflessione sul modello politico sociale e morale del popolo sardo nell'orizzonte europeo.
Il problema dell'identità sarda, del sardismo vista come si spiegherà più avanti come una minaccia dai governi passati, i risvolti recenti che hanno visto sorgere nuovi movimenti, anche non legalizzati, fomentare la rivolta contro lo stato italiano.
Bisogna riflettere, in ogni sardo è insita una forte tendenza autonoma, il differenziarsi dal resto dalle masse. Capire se la strada è quella federalista come proposto da una parte dei movimenti autonomisti, o indipendentista quella esposta dalla parte più particolare dei movimenti per certi versi ristretta ma a mio avviso innovativa.
Sentita dai Savoia appena istituito il regno d'Italia, la propensione ribelle di un popolo mai domo, iniziarono a studiare strategie che permetessero l'estirpazione della cultura rurale, radicata nella gente, un codice implicito che caratterizzava l'autonomia di ogni piccola comunità. Il fascismo andò oltre, cercarono di amalgamare la cultura tipicamente sarda con elementi venuti dalla penisola. Caso emblematico lo sfruttamento delle miniere del sulcis in pieno regime autarchico la fondazione di comunità eterogenee come Carbonia.
Obiettivo del regime divellere la cultura tradizionale sarda, e introdurre l'industrializzazione dell'isola a tappe forzate. La fondazione di Arborea la quale venne abitata da coloni veneti che ne fecero un ridente centro agricolo.
Con la caduta del regime fascista venne enfatizzandosi la contraddizione di uno sviluppo imposto senza tener conto dell'armonia del territorio. Le miniere non vennero mai considerate dai sardi come una fonte di investimento. Si fossilizzò l'ipotesi di un qualcosa appartenente allo stato estraneo ai cittadini. Fecero peggio i governi repubblicani con il polo industriale di Ottana, un'autentica cattedrale nel deserto, l'utopia era industrializzare i pastori...costruito in piena stagione sequestri...adesso schiacciato dalla globalizzazione ha preso la via della crisi, un tunnel nel quale non si vede ancora la via d'uscita.
L' idea indipendentista nasce da queste esperienze, la rivalutazione della sardità, superare i concetti di comunità ristrette, i campanilismi fini a se stessi.
Uno sviluppo economico in armonia con il territorio, sviluppare le risorse energetiche che l'isola dispone, il turismo non fine a se stesso, l'agricoltura e l'allevamento industrializzato.
Lo scippo che viene perpetrato ai danni della sardegna è enorme, le risorse energetiche vengono lavorate nell'isola, portate nella penisola e vendute agli utenti sardi ad un prezzo maggiore, la famosa costa smeralda inibita ai sardi per i prezzi esorbitanti, nella quale i giovani trovano solo un'occupazione stagionale. Sono molteplici i problemi, ma quello più difficoltoso, il superamento delle piccole divisioni dei campanilismi, acquisire la maturità d'intenti per un ambizioso progetto futuro.

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